Se potessimo chiedere ad ogni coach perché ha scelto questa professione probabilmente otterremo tutte risposte diverse. Però la maggior parte dei coach sono motivati da un genuino interesse per gli altri e dal desiderio di sentirsi parte dello sviluppo delle persone. Probabilmente, la stessa risposta potrebbe darla chi ha scelto più in generale una qualsiasi professione di supporto alle persone.
Nella maggior parte dei casi la scelta di quale professione svolgere avviene in modo inconsapevole, quando si sceglie un indirizzo all’università, quando si sceglie di non fare l’università o quando si accetta il primo lavoro che capita, quando il lavoro te lo trova un genitore, uno zio o un vicino di casa… fino a che ci rendiamo conto di aver scavato un solco nel quale ci troviamo sempre più instradati, solco che diventa sempre più profondo e difficile da abbandonare per altre possibili traiettorie di vita.
C’è invece chi si concede di cambiare o che la vita ce lo porta.
Migliaia di coach, di nazionalità e culture diverse, nonostante le molte differenze tra loro, condividono tutti una cosa: a causa di un evento esterno che li ha fatti confrontare con una crisi o per un forte impulso interiore, dopo anni spesi a costruirsi una carriera hanno scelto di cambiare e diventare coach. Hanno scelto di essere liberi professionisti dedicati alla realizzazione delle persone.
La professione del coach, nella maggior parte dei casi viene scelta da chi, dopo aver praticato a lungo “altro”, decide che è arrivato il momento di impegnarsi in una professione più in linea con i suoi valori personali.
Le motivazioni intime
Il coaching è una professione che attrae persone con una particolare sensibilità, spinte da sistemi valoriali definiti. Generalmente i coach sono persone che amano migliorare le cose, sentirsi artefici di un cambiamento positivo, sono in cerca di un’attività fatta di relazioni non superficiali, volte allo sviluppo, il benessere e la realizzazione delle persone.
“Partecipando a riunioni e conferenze di coach, da Roma o Milano, a Parigi, Ginevra, Madrid, Los Angeles, Orlando o Fort Worth, ho sempre visto una partecipazione autentica. Che si trattasse di professionisti di lunga esperienza o “matricole” ho trovato persone con un forte senso etico e desiderio di collaborare, persone pronte a offrire il proprio contributo per migliorare il mondo, iniziando dal facilitare i propri clienti nella loro auto-realizzazione. Tutto questo conferma come questa attività abbia potenzialità di diffusione ed efficacia ancora inespresse.”
Il vero motore di questa professione consiste nell’allineare la sfera teorica con quella pratica, attraverso una forma di interazione pragmatica e concreta.
Quella del coach, se non hai un autentico interesse per le persone è una professione pesante. Immagina come ci si potrebbe sentire passando le ore ad ascoltare le chiacchiere di qualcuno di cui non ti interessa altro che il pagamento… potrebbe essere insopportabile.
Se non si amano le persone, se non si ha genuina curiosità per gli altri, meglio non scegliere il coaching come professione; infatti, avere un’istintiva e sincera propensione all’ascolto è certamente uno dei requisiti fondamentali del coaching.
“Oltre vent’anni fa ho scelto questa strada perché metteva insieme il mio percorso di sviluppo personale con le mie esperienze di imprenditore e di manager d’azienda. Ricordo come, leggendo il libro di John Withmore io abbia provato una crescente eccitazione ed entusiasmo, ogni pagina valorizzava il mio modo di essere e le mie esperienze tanto varie. Potevo finalmente occuparmi dei temi per me più importanti, vedendomi riconosciute dignità professionale e retribuzione adeguate, tutto questo facendo quello che più mi dava energia. Cosa volere di più?”
– Pier Paolo Colasanti
Qualcuno ha detto: “Sul lavoro non ci si diverte. Per me il lavoro è una cosa molto seria: se ti stai divertendo, probabilmente non stai lavorando bene.”
D’accordo, il lavoro richiede impegno e fatica, ma se ami quel che fai, impegno e fatica diventano leggeri e puoi persino scoprirti a sorridere mentre lavori.
Se svolgendo un lavoro ti dimentichi del tempo che passa, se una volta iniziato non vorresti più smettere. Quando ciò che stai facendo ti piace e senti che ti fa bene, allora quello è il tuo lavoro, ammesso che trovi qualcuno disposto a pagarti per farlo… ecco: ha senso diventare coach solo se ti senti nutrito e provi piacere nel farlo.