Prima di parlare delle domande potenti, ricordiamoci di come funzionano le domande di Coaching “normali”.
Un coach lavora con i suoi clienti prevalentemente con il dialogo, questo dialogo è alimen- tato da domande che il coach pone per aiutare il cliente a raggiungere nuove consapevolezze su se stesso e sui suoi obiettivi. Queste domande dovrebbero essere brevi, aperte (devono permettere al cliente di rispondere articolando un discorso e non di rispondere Sì o No), ma soprattutto devono:
- Non contenere/sottintendere la risposta, ad esempio: “Non credi sarebbe meglio smettere di arrabbiarti per queste cose?”, questo può essere un ottimo consiglio da amico, ma non è una do- manda da coach.
- Non contenere il giudizio del coach, neanche a livello subliminale, ad esempio: “Hai un obiettivo da vincente oggi?” oppure, “Come mai hai deciso di agire in questo modo?”, facendo una lieve espressione di disapprovazione. Domande come queste creano un clima di giudizio e non libera espressione. Nel primo caso, che ci sia un obiettivo da vincente implica il rischio di esprimerne uno da perdente, nel secondo caso, anche una lieve espressione del viso o il tono della voce bastano per condizionare negativamente il cliente.
- Essere sinceramente dedicate alla scoperta. Facendo la domanda il coach non dovrebbe già conoscerne la risposta “giusta”, ma piuttosto essere molto curioso di scoprire quale risposta giusta il cliente troverà per se stesso. Alcuni usano le domande per portare il cliente dove loro sanno – credono di sapere – vi sia la soluzione migliore: questi coach non solo fanno male il loro mestiere (almeno secondo i criteri ICF), ma sono anche in una relazione non sincera con il loro cliente che viene guidato, a sua insaputa, verso una soluzione che non è la sua ma che gli si fa credere lo sia. Manipolazione inutile e un po’ vigliacca. Tanto vale dare un consiglio, almeno te ne prendi la responsabilità e lasci al cliente la possibilità di scegliere se seguirlo.
Queste sono le caratteristiche essenziali che le normali domande di Coaching dovrebbero avere e, se una domanda rispetta tutti questi criteri, è già 100% efficace, ma cosa rende una domanda “potente”? Può un coach pensare: ”Ecco adesso gli faccio questa bella domanda potente”? Esiste un elenco di domande sicuramente potenti? Evidentemente no, perché questo implicherebbe la preveggenza della risposta del cliente.
Si parla di domande potenti quando al cliente succede qualcosa che assomiglia a un’epifania, uno shift radicale, un cambiamento di prospettiva importante.
Però quel che succede al cliente con quella domanda dipende dal cliente, da cosa riesce a farsene di quella domanda, quindi la stessa domanda può essere potente per un cliente e inutile per un altro.
Per questo, invece che di domande potenti, si può parlare anche di “Risposte potenti” o di “Dialoghi potenti”: riporta la responsabilità sul cliente e descrive in modo più puntuale il fenomeno. Questa distinzione può sembrare una questione di puntiglio lessicale e vuole anche essere una provocazione generativa, ma probabilmente rende l’idea.
Come fa un coach a capire che il suo cliente sta elaborando una risposta potente e quindi di essere nella cogenerazione di un dialogo potente? Quando una domanda permette un cambiamento come quelli descritti, quasi sempre il cliente deve elaborare la risposta partendo da zero, quindi non risponde subito, magari inizia dicendo: “Non lo so…” e, durante il tempo che serve per questa elaborazione, resta in silenzio, un silenzio che il coach, se ne è capace, deve rispettare e proteggere, lasciando il tempo e lo spazio affinché la potenza della risposta si possa manifestare in tutto il suo valore.
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