Talvolta un errore ti segna la vita, capita che nella memoria restino gli errori fatti, le scelte di cui ti penti e da cui non puoi più tornare indietro. Vero, ma il motivo per cui l’errore ci tormenta è che ne abbiamo una paura smisurata, paura che ci immobilizza e ci rende capaci di seguire solo sentieri battuti, paura che toglie spazio alle nostre più vere aspirazioni, desideri, speranze.

A pensarci bene, il vero problema dell’errore è tutta l’energia necessaria a evitarlo. Scegliamo il vestito, il partner, il lavoro sperando di non sbagliare, dubbi, incertezze… e come coach, siamo forse esentati dal temere l’errore?

Beh, dovremmo. In teoria il coach non dovrebbe vivere con questo assillo, dovrebbe occuparsi solo di fare bene il suo lavoro, certo non focalizzarsi sull’errore.

La paura dell’errore è nemica del Coaching, ti fa lavorare con poca creatività, ti rende un coach meschino, che cerca di portare a casa il Suo risultato invece di occuparsi del Cliente.

Quindi un bravo coach non dovrebbe avere paura di sbagliare, ma che succede se un coach ha questapaura? Cosa succede se un coach è ancora un po’ confuso, se è uno che magari non lavora all’interno di un set definito di competenze, regole e procedure?

In casi come questi probabilmente il coach non è poi così Coach e deve stare molto attento:

•SE FA PIÙ CONSULENZA CHE COACHING, quando il cliente sbaglia, lui è responsabile;

SE FA PIÙ IL TRAINER CHE IL COACH, limita il suo cliente a quel che gli insegna;

SE FA PIÙ IL MOTIVATORE CHE IL COACH, porta le persone oltre i loro limiti, rischia di portarle troppo “oltre” e morti e feriti, come è successo a James Arthur Ray nel 2009;

SE FA PIÙ IL GURU CHE IL COACH, porta le persone dove crede e, per quanto bravo sia, chi lo segue perde ownership e autostima.

L’ERRORE PIÙ GRAVE CHE UN COACH PUÒ COMMETTERE È DI NON APPLICARE IL COACHING.

A questo punto però sorge una domanda: come sai di essere un coach che applica il Coaching? Questa domanda è essenziale. Sai di essere nel pantano del “non Coaching”, quando ti accorgi di commettere certi errori.

I 10 errori comuni del “Non Coach”

1. PENSARE DI ESSERE UN TALENTO NATURALE che non ha bisogno di formazione specifica.

2. VOLER DIVENTARE COACH SENZA PASSARE ATTRAVERSO PARECCHIE ORE DI COACHING – in veste di cliente. Mi sono sentito dire: “Ma io voglio diventare un coach, non ho bisogno di lavorare con un coach!”. Come pretendi di essere un coach credibile se tu per primo non ritieni utile lavorare con un coach?

3. SCEGLIERE IL CORSO DI COACHING PIÙ ECONOMICO, più vicino a casa oppure uno qualunque, tanto sono tutti uguali. Ma non tutti i corsi vanno bene per tutti, come non c’è uno studente uguale all’altro. E chiediti anche come mai dei veri professionisti dovrebbero tenere corsi alla metà del prezzo di altri.

4. CONVINCERSI CHE SERVONO TANTI ANNI prima di poter praticare come coach, ma se non pratichi non diventerai mai coach.

5. PENSARE DI AVERE POCA ESPERIENZA per poter chiedere un fee, anche se minimo. Lavorare gratis priva il cliente di un vero rap- porto professionale e rischia di ridurne il com- mitment.

6. PENSARE DI POTER SALVARE IL CLIENTE o non rendersi conto che quel cliente ha bisogno di un altro tipo di aiuto. Salvare qualcuno ti fa sentire bene? È un tuo bisogno che depotenzia il cliente, cambia mestiere.

7. ACCETTARE DAL CLIENTE QUALSIASI CONDIZIONE pur di essere il suo “coach”. Alcuni clienti chiedono che gli si diano soluzioni e non vogliono responsabilità.

8. APPROFITTARE DELLA FIDUCIA del cliente per vantaggio personale, economico o affettivo/egotico. Più il cliente ti si affida e più la tentazione può essere grande, soprattutto se sei una persona piccola.

9. CONCENTRARSI TROPPO SULLA PROMOZIONE di se stessi, dimenticando che la cosa più importante è diventare bravi coach, il lavoro di un bravo coach si vende da solo.

10. ISOLARSI, CREDERE DI ESSERE ABBASTANZA ESPERTI da non avere più bisogno di formazione. La forza più grande del Coaching è la pluralità. I coach sono tanti, si confronta- no, imparano gli uni dagli altri, si organizzano e hanno valori comuni.

Un articolo di Pier Paolo Colasanti.

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