Ogni coach che si rispetti sa quanto sia importante individuare un potenziale conflitto d’interessi nello svolgimento della propria professione e quando un coach soffre di questa fame il conflitto d’interessi è dietro l’angolo, mentre lavora con i suoi clienti e ancor più mentre li sta cercando.

Qualche mese fa ho incontrato un amico, collega, ex al- lievo e attuale competitor. Sorridente, riferendosi a me e alla mia azienda, mi ha detto: “Vi comportate come se non vi importi di vendere… eppure vendete, ma è facile quando si ha una posizione come la vostra!”. Preso di sorpresa, credo di aver farfugliato qualche frase confusa, indeciso tra dire che non ritenevo fosse proprio così o che aveva ragione. Ripensandoci a freddo, effettivamente la posizione fa una certa differenza, ma credo sia vero anche il contrario: raggiungi una posizione di rilievo se adotti un approccio che mette in primo piano il cliente e non la vendita.

C’è stato un tempo in cui mi sono guadagnato da vivere facendo il venditore e i primi tempi non sapevo come pagare l’affitto, ma ricordo di aver sempre agito verso i miei clienti come se la mia sussistenza non dipendesse da quanto avrei guadagnato con loro. I clienti percepivano che ero sinceramente interessato a loro, ai loro desideri e necessità e mi davano fiducia. Non ho idea se questa sia una regola universale, ma fino a oggi ha sempre funzionato, anche nel coaching.

“Raggiungi una posizione di rilievo se adotti un approccio che mette in primo piano il cliente e non la vendita.”

Mors tua vita mea

Servire i miei interessi o quelli del cliente? Un coach dovrebbe sempre evitare di trovarsi in situazioni che lo pongano di fronte a questa domanda. In teoria siamo tutti d’accordo che si debbano servire gli interessi del cliente, qualcuno potrebbe affermare che si può servire entrambi gli interessi, ma un coach che si trovi in uno stato di necessità non può garantire sia i propri interessi che quelli del cliente.

Questo non dipende da quanto siano solidi i principi morali, ma dal fatto che nessuno può dire di interpretare la realtà in modo oggettivo e tutti tendiamo inconsciamente a guardare i fatti da una prospettiva conveniente, che giustifichi le nostre azioni.

Quando il cliente ti chiederà quante sessioni di coaching fare, risponderai senza pensare al valore economico di ogni singola sessione? Anche se due sessioni in più ti permetterebbero di pagare l’affitto? “In fondo, due sessioni in più non possono che fargli bene!”. Quando il cliente ti chiederà aiuto per una sua scelta difficile risponderai con un bel “consiglione”, invece di aiutarlo a trovare la sua risposta? Anche se hai un grande bisogno di dimostrare che vali? “In fondo è il cliente che me lo chiede!”.

Quando il cliente ti chiederà quante sessioni di coaching fare, risponderai senza pensare al valore economico di ogni singola sessione? Anche se due sessioni in più ti permetterebbero di pagare l’affitto?

Lupi in veste di agnelli

Ti è mai capitato di accorgerti che il tuo interlocutore ha delle intenzioni diverse da quelle che dichiara? A me capita spesso. Vedo persone affamate dichiarare di essere sazie, ma la fame si legge nei loro occhi come fossero lupi nella notte. Se fai attenzione puoi leggere un sottotitolo che svela la verità dell’interlocutore, le labbra dicono: “Il denaro non è importante!” e sotto leggi, “Penso al denaro ogni minuto”. Oppure: “Per me non ha importanza avere successo”, sottotitolo, “Ho un gran bisogno che qualcuno mi consideri!”. Bisogno di soldi, di attenzione, di amore, di potere e così via.

Bastan poche briciole

Per dirla tutta, essere milionari o persone di successo non ci garantisce di essere al di sopra di questa “fame”, perché come sappiamo è lo stato interiore che condiziona la percezione. Per vivere finalmente con una sensazione di abbondanza e serenità occorre un percorso di sviluppo personale importante che ti porti a sentire di avere/essere abbastanza.

Un coach dovrebbe lavorare libero, non solo dal bisogno del denaro, ma anche da tutti i bisogni più condizionanti. Se il coach non ha questa libertà ne viene influenzato il suo modo di lavorare con ripercussioni sulla sua capacità di offrirsi a un prezzo adeguato o di comportarsi in modo professionale con clienti e colleghi. La fame porta un coach a preoccuparsi di più di se stesso che del cliente o comunque a “ingombrare” la relazione di coaching con i propri bisogni.

Sia chiaro che non sto dicendo che è “peccato” promuoversi, fare pubblicità, proporsi ai clienti, cercare di crescere. Queste attività sono utili e importanti perché promuovono il coaching e il coach, ma assumono un valore negativo in base alla condizione interiore di chi le attua e la differenza si vede nei fatti.

Che tu sia un coach professionale che fatica a guadagnare o un coach che guadagna con poca professionalità, chiediti quanto la tua fame economica o psicologica ti sta condizionando e poi lavora su te stesso per superarla. La tua professionalità migliorerà, aumenteranno le possibilità di successo e, cosa non da poco, sarai una persona soddisfatta, migliore. Buon lavoro!

Un articolo di Pier Paolo Colasanti

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