I processi cognitivi che attiviamo in risposta ad un determinato compito vengono definiti Mindset.
Ciò che pensiamo di noi gioca un ruolo fondamentale nel determinare cosa vogliamo e se riusciamo a raggiungerlo, di conseguenza ha un forte impatto sulla realizzazione dei nostri successi e i nostri fallimenti. La nostra mentalità è un insieme di presupposti, metodi e nozioni derivanti dalla nostra visione del mondo e dalla nostra filosofia di vita. Di conseguenza modella il modo in cui diamo un senso al mondo e a noi stessi, influenza il modo in cui ci sentiamo e ci comportiamo in qualsiasi situazione. Nonostante il nostro cervello sia capace di ricevere miliardi di stimoli ha una capacità limitata di assorbire e trattare le informazioni, quindi forma un mindset che ci aiuta a filtrare ciò che si assorbe e come lo si interpreta.
Secondo la psicologa ricercatrice Carol Dweck, autrice del libro “Mindset. How we can learn to fulfill our potential.”, ci sono due mentalità di base: una definita statica (fix) e una di crescita (growth). Generalmente le persone con una mentalità fissa, credono che le loro abilità siano tratti fissi e quindi non possono essere cambiati. Inoltre sono spesso convinti che il loro talento e la loro intelligenza da soli portino alla realizzazione dei loro obiettivi. Al contrario, le persone che posseggono un mindset definito di crescita, credono che i loro talenti e le loro abilità possano essere sviluppati nel tempo attraverso lo sforzo e la tenacia. Si convincono che ogni cosa possa essere imparata e anche se non raggiungono i livelli massimi di abilità, il processo di apprendimento è ciò che li soddisfa maggiormente.
Il nostro mindset si crea nella prima infanzia e i motivi principali che ci portano ad abbracciarne uno piuttosto che l’altro, derivano da quanto l’ambiente in cui cresciamo ci educhi all’ attribuzione di significati, o alla semplice osservazione meravigliosa degli eventi. Il termine meravigliosa intende con quanto entusiasmo ci vengono presentati quegli eventi.
Gli esperimenti della Dweck hanno evidenziato che i bambini si comportano in modo molto diverso a seconda del tipo di feedback che ricevono. Quando ai loro talenti viene attribuito il significato di “intelligenza”, in quei bambini è molto facile che si instaurai un mindset fisso perché il messaggio che ricevono è che una certa abilità o la si possiede oppure no. La meraviglia nell’osservare i talenti dei bambini, l’enfasi sullo sforzo che fanno per portare a termine i propri compiti, senza definizione alcuna, li educa invece alla consapevolezza che le strategie da loro usate possano essere decise, perseguite e migliorate nel tempo. In pratica ciò che determina una fondamentale differenza è lodare gli sforzi invece che i risultati. Solo concentrandoci sul processo piuttosto che sul risultato gli adulti possono aiutare i bambini a capire che i loro sforzi, il duro lavoro e la dedizione possono portare a cambiamenti, apprendimento e crescita sia ora che in futuro.
Un mindset statico tende, invece, a generare pigrizia, paura e orgoglio e spesso porta alla tendenza di evitare le sfide che sono viste come ciò che potrebbe svelare il proprio senso di inadeguatezza. Al contrario, avere una mentalità di crescita nutre la fame di apprendimento e il desiderio di lavorare sodo per scoprire cose nuove così come il coraggio di osare e di affrontare nuove situazioni. Gli errori vengono vissuti come naturale processo per imparare ciò che prima si ignorava, le critiche diventano consigli preziosi e il successo degli altri un esempio da cui trarre ispirazione.
Nessuno si caratterizza in modo esclusivo per il fatto di avere un mindset o l’altro, a seconda di dove ci si trova, in una linea immaginaria avente come antipodi i due mindset, ci si ritrova in una mentalità dominante.
La Dweck, inoltre, asserisce che i mindset non sono stabili e cambiano nel tempo come risultato di nuove osservazioni e esperienze ed è in questi casi che il lavoro del coach svolge un ruolo fondamentale, proprio perché atto a mettere in discussione le convinzioni e i paradigmi con i quali cresciamo. Al fine di trasformare un mindset statico, il lavoro di un coach deve necessariamente espandersi alla persona del coachee e non limitarsi all’obiettivo che porta in sessione; deve, cioè, generare consapevolezza affinché il coachee possa osservare autonomamente che sta cercando di perseguire il suo obiettivo con un mindset limitante. La più grande soddisfazione per un coach deve essere promuovere l’autonomia del coachee.
Buon coaching a tutti!
-Nuna Shoesmith