Capiamo molto di noi stessi quando mettiamo a fuoco il nostro “modello di realtà” che è il nostro credo sul mondo che riteniamo essere vero. E’ costruito intorno a certi presupposti e spesso non ci permette di crescere, o diversamente ci da un’enorme possibilità di crescita.

Come coach penso che la nostra prima missione sia quella di aiutare il coachee ad avere una visone chiara su ciò che definisce realtà.  Molto spesso la realtà del coachee è fatta di rigide convinzioni e richieste sulla vita che, spesso, formano un pensiero dogmatico che non solo può aumentare ansie, stress, conflitti e risentimento, ma aumenta anche le difficoltà dal riprendersi da situazioni ed eventi stressanti.

Attraverso il coaching, il cliente deve vedere che le sue convinzioni possono diventare “flessibili” e di conseguenza sviluppare le consapevolezza che molte cose nella vita sono fuori dal nostro controllo e sono caratterizzate dalla non colpevolizzazione, dalla tolleranza al disagio e dall’accettazione incondizionata. Quante volte sentiamo dai nostri clienti frasi come “Per me non riuscirci sarebbe un fallimento” “Se le cose vanno così allora io non ce la faccio”.

Il coaching deve portare il cliente a diventare meno rigido nelle sue credenze sulla vita, a pensare che le scelte che si compiono non sono per sempre, a sostituire le richieste con preferenze flessibili che determinano aspettative più realistiche per sé stessi e per gli altri, a pensare non a ciò che dovrebbe accadere ma a ciò che preferisse accadesse. Quando alla fine di una sessione la riformulazione diventa   “Vorrei riuscirci, ma se così non fosse posso tollerare il fallimento”, ciò significa che il cliente ha compreso che il modello di realtà può e dove essere flessibile.

Per chi non ha ancora affrontato l’esame per l’ottenimento della credenziale ICF , questo potrebbe essere un punto su cui riflettere, perché è ciò che la competenza 7 del codice ICF recita: “Genera Consapevolezza”, ed è ciò che, nella mia esperienza, determina una buona sessione d’esame, far sì che il coachee si sposti dal punto di partenza e riesca a riformulare in maniera più flessibile. Il nostro compito è aiutare il cliente a riconoscere il “pensiero rigido” e a sostituirlo.

Ovviamente nella pratica non sempre avviene nell’immediato. Noi come coach dobbiamo alimentare la fiducia nel coachee e nel nostro lavoro di coach, ricordando, per primi a noi stessi, che una volta gettato il seme, bisogna avere la capacità di aspettare il raccolto, proprio perché dobbiamo essere noi i primi ad avere un modello di realtà flessibile.

–  Nuna Shoesmith