Alzi la mano chi non ha un tesoro nascosto che custodisce ben bene. Un luogo dentro di sé che non si vuole frequentare, dove non si vuole andare a vedere.
Quel luogo giù giù in cantina che io visualizzo dietro ad una porticina chiusa da una grande catena tenuta da più di un lucchetto. È un luogo buio, umido dove non è piacevole andare. Che c’è di così prezioso dietro quella porta che custodiamo con grande cura?
Generalmente c’è un dolore, un dolore che non abbiamo saputo gestire, probabilmente perché troppo piccoli o privi degli strumenti necessari. Un dolore che ci ha fatto stare male, di un male più grande di noi. Nel corso della vita stiamo ben attenti a non avvicinarci nemmeno per sbaglio a quello stanzino e chiunque possa suscitare in noi l’emozione che ci siamo preoccupati di tenere ben bene sotto chiave deve confrontarsi molto spesso con la nostra rabbia. Rabbia che si può manifestare con aggressività, silenzi, frustrazione …..
Se vogliamo recuperare quella parte di noi tenuta sotto chiave è proprio da questa rabbia che è necessario partire. Proviamo a smettere di difenderci, di ostinarci a volere qualcosa a tutti i costi che non arriva e non arriverà mai. Eh sì, anche una cieca ostinazione a volte è un modo per non guardare dentro a quello stanzino buio…Pensiamoci, anzi ascoltiamoci, in silenzio.
Come mi sentirei se smettessi di difendermi? Se smettessi di continuare a volere quello che non riesco a raggiungere?
Con buona probabilità la risposta sarà un sonoro e angosciante “Non lo so!” che ci apre le porte a un vuoto che non sappiamo guardare. Eppure….. eppure è proprio in quel vuoto che troviamo la risposta.
Stare in quella dimensione significa aprire quello stanzino e lasciare che quello che c’è dentro ci pervada e finisca col riempire proprio quel vuoto. Lasciamoci andare a quel nulla e ad un certo punto ci accorgeremo che quello che tanto temevamo, ora siamo in grado di gestirlo, di sostenerlo e smette di farci tanta paura.
Non sentire più quella sensazione di vuoto dentro di noi ci rende più sicuri perché, lo vediamo solo ora, è proprio quello che ci faceva tanta paura. Aprire quella porta significa avvicinarsi ad un senso di pienezza di sé che ben lontano dall’essere un ego stra-bordante, è invece qualcosa che ci fa sentire autentici, empatici e in connessione con gli altri.
Attenzione, non tutte le porte vanno aperte, ma qualcuna ci chiama, ci attrae, si fa sentire. Questo è il segnale che è arrivato il momento: siamo pronti! E allora tuffiamoci con fiducia nel vuoto davanti a noi e attendiamo, in silenzio, senza aspettative. Semplicemente stiamo e scopriremo che quel vuoto ci sostiene e che tanto vuoto non è più.