Quanto sono rilevanti nella pratica di Coaching?

Le euristiche sono dei procedimenti mentali basati sulle intuizioni, piuttosto sbrigative, che ci consentono di farci un’idea generale su un argomento senza dover sforzarci troppo a livello cognitivo. Servono in sostanza a far risparmia energia al cervello il quale, insieme a fegato e milza, è l’organo che ne consuma di più. L’attività dei neuroni infatti è molto dispendiosa, inoltre se il cervello non riceve la giusta quantità di energia anche solo per brevi periodi, è facilmente esposto a danni. Quindi le euristiche sono scorciatoie mentali, strategie veloci e frequentemente utilizzate dal cervello, che nella maggioranza dei casi ci proteggono.  I Bias cognitivi sono in sostanza delle euristiche inappropriate perché di fatto sono pregiudizi basati su dati non reali, che assimiliamo a priori, senza empirismo.

Quando si deve prendere una decisione importante, quando si sceglie quale intuizione seguire o si aiuta il cliente a identificare e pianificare un obiettivo, è bene saper prendere le distanze dai nostri Bias, ecco perché, a parer mio, è necessario che un coach sia consapevole del ruolo che giocano sul nostro lavoro. 

Ovviamente solo riconoscendoli possiamo cercare di evitarli, e successivamente auspicare di sviluppare la consapevolezza nei nostri clienti, su quanto e in che modo possono impattare sul racconto della loro realtà.  Quindi le prima domande che un coach dovrebbe porsi è: “come faccio a non saltare a conclusioni affrettate? come divento consapevole se sto usando dei Bias cognitivi in sessione? Come posso condividere con il cliente questa mia consapevolezza senza compromettere la nostra relazione di parità?

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Il primo passo verso la consapevolezza è senz’altro l’accettazione. Non siamo semplicemente pigri, ma necessariamente orientati al risparmio energetico perché il nostro corpo a fine giornata deve portare a casa tutti i risultati di cui ha bisogno per sopravvivere e quindi consumare la giusta energia per ogni singolo organo. Quindi accettando il fatto che il cervello per default ci porta ad usare scorciatoie, non le percepiremo solo come limiti ma come veri e propri modi di funzionare. 

Abbiamo tutti il nostro modo di crearci degli stereotipi, ottimo esempio di Bias cognitivi, che dipendono dalla cultura in cui siamo educati. I nostri stereotipi organizzano quegli schemi che ci consentono di comprendere ciò che ci circonda perché il nostro sistema cognitivo non è in grado di farlo rapidamente. È come se i Bias fossero degli algoritmi sui quali organizziamo le nostre mappe mentali. 

Ecco perché è estremamente utile per un coach sapere come funzionano. Riconoscerli tutti è quasi impossibile. Gli psicologi che si occupano di studiarli ne hanno individuati centinaia, uno degli ultimi il Bias dell’Ikea, che si verifica quando ci affezioniamo ad un oggetto solo perché lo abbiamo assemblato con le nostre mani. Avere in sostanza il controllo di un intero progetto la cui realizzazione passa attraverso il nostro lavoro. 

I Bias cognitivi sono stati organizzati in cinque macrocategorie: Bias di decisione, Bias della memoria, Bias individuali o di gruppo, Bias di giudizio, Bias della motivazione e del desiderio.  È possibile, inoltre, raggrupparli utilizzando un’altra strategia, quella cioè di individuare le cause che fanno scattare gli errori cognitivi, basate sulla necessità di agire in fretta, di dover scegliere, sulla mancanza di informazioni necessarie o sull’abbondanza di dati e informazioni.  

Ma quali sono i casi in cui più frequentemente utilizziamo queste scorciatoie e quelli ai quali un coach deve porre particolare attenzione?  

I Bias di conferma, sono quelli ai quali un coach deve essere particolarmente attento, in quanto possono essere causa di errori di valutazione perché favoriscono un atteggiamento, tipico della natura umana,  in cui si cerca di confermare un’ ipotesi invece di  prenderne  in considerazione altre.   In sostanza interpretiamo e ricordiamo le informazioni in modo da confermare e sostenere le proprie convinzioni. Le persone mostrano questo Bias quando selezionano le informazioni che supportano i loro punti di vista, ignorando quelle contrarie. Questi Bias sono difficilmente eliminabili, ma un coach ha il compito di imparare a riconoscerli e a gestirli, sviluppando un pensiero critico delle sue convinzioni, soprattutto durante la sessione. I Bias di conferma sono tipici della gestione dei rapporti familiari dove molte discussioni nascono quando ci ostiniamo a voler essere coerenti con le posizioni prese in precedenza, magari legate al ruolo che ricopriamo in famiglia, che ci porta a confermare a tutti costi le nostre opinioni, senza mai voler metterci in discussione. 

Il secondo gruppo di Bias è quello per il quale tendiamo a scartare le specificità per formare generalizzazioni, e ci troviamo nella posizione di farlo soprattutto quando c’è abbondanza di informazioni e possibilità di scelta. Quando ci troviamo in condizioni di dover scegliere e ci troviamo di fronte ad un numero alto di possibilità, finiamo quasi sempre per orientarci verso ciò che già conosciamo, vale a dire alle informazioni a cui accediamo in maniera più semplice.  Quando un coach generalizza i comportamenti di un cliente, non gli regala la possibilità di vedere che le sue specificità lo rendono unico e di conseguenza non lo aiuterà nel processo di identificazione del sé scollato dalla percezione degli altri. 

Quante decisioni il nostro cervello reputa “difficili da prendere” ogni volta che c’è un eccesso di informazioni e che impatto avranno sul futuro quelle scelte? Non sarebbe meglio, in quei casi, rallentare volutamente i processi decisionali?  

Pensiamo inoltre a decisioni aziendali prese solo sulle basi delle informazioni più facili da elaborare perché più accessibili al nostro date base di conoscenze, in questo caso estremamente limitanti perché non aprono alla possibilità di sperimentare nuove soluzioni che potrebbero far crescere l’azienda.

 

 I Bias cognitivi che si basano sulla memoria sono un’altra categoria sulla quale un coach dovrebbe portare consapevolezza. Per prima cosa dobbiamo tenere a mente che tendiamo a sopravalutare la nostra memoria che, a differenza di quanto crediamo, non è così precisa in quanto tende a modificare i nostri ricordi per confermare ciò di cui siamo convinti o ciò che ci piace credere. Come ogni essere umano crediamo a ciò in cui vogliamo credere e ce la raccontiamo come ci pare fino a falsare la realtà dei fatti accaduti pur di confermare le nostre certezze. Inoltre abbiamo la tendenza a memorizzare qualcosa nel suo quadro generale e non i dettagli che la compongono. Quindi, questi Bias sono una forma di errata attribuzione in cui un ricordo viene scambiato per immaginazione 

perché non c’è un’esperienza soggettiva del fatto che sia un ricordo. Secondo questo principio una persona può ricordare in modo errato, un pensiero, un’idea, ma credendola comunque la fonte originale del ricordo. Inoltre sono bias che ci rendono piuttosto suggestionabili, vale a dire più inclini ad accettare e agire in base ai suggerimenti degli altri e distorcere i ricordi perché quando ci è stato detto insistentemente qualcosa su un evento passato, il nostro ricordo dell’evento si conforma al messaggio che abbiamo ascoltato ripetutamente. 

Abbiamo la disponibilità di consultare on line moltissimi studi riguardo i Bias cognitivi, ovviamente non ci è richiesto di conoscerli tutti, ma essere consapevoli dei più importanti ci rende sicuramente dei coach migliori, imparando a riconoscerli, accettarli e andare avanti per la nostra strada. 

Per chi volesse vederli raccolti in un grafico, questo un link utile 

https://images.app.goo.gl/SjyCDYmrnDJPnm8i7

Per chi volesse capire quale influenza hanno sui nostri comportamenti, oltre all’interessantissimo libro di Daniel Kahneman “Pensieri lenti, pensieri veloci”, vi linko un video in inglese con sottotitoli in italiano.  https://www.youtube.com/watch?v=9X68dm92HVI 

Buon coaching a tutti!

-Nuna Shoesmith