Qualche anno fa la casa di produzione di un noto format televisivo mi contattò, avevano visto il mio profilo pubblicato sul web e mi chiesero di recarmi nei loro uffici per un colloquio. Conoscevo quella trasmissione, in ogni episodio un adolescente e la sua famiglia ricevevano il supporto di un coach per risolvere i loro temi e problemi. Il mio primo pensiero fu che poteva essere una buona occasione per ottenere notorietà, infatti partecipare a un programma del genere, per quanto su un canale “minore” e in seconda serata, significa essere visti da milioni di persone… il mio secondo pensiero invece fu una domanda: “porta valore alla mia carriera partecipare a una trasmissione che è dedicata a un pubblico di famiglie e ragazzi?”.

Già allora lavoravo prevalentemente come Executive Coach, i miei clienti, top manager e aziende, come avrebbero visto la mia presenza in quella trasmissione? Sarei diventato popolare tra le mamme in cerca di aiuto per i figli? Avrei perso quel posizionamento Corporate che tanto mi stava dando soddisfazione?  Oppure manager e responsabili delle risorse umane, pur vedendomi in quella veste, mi avrebbero considerato con maggiore attenzione per chiamarmi a lavorare nelle loro aziende?

Con questa domanda mi confrontai nei tre giorni che mancavano al colloquio, senza però trovare una risposta. In compenso aumentarono i dubbi e individuai alcune condizioni da porre ai produttori del format. Giunto negli studi fui quasi sorpreso di trovarmi davanti a una telecamera e a un vero e proprio provino televisivo, avevo pensato ai vari aspetti, ma non a questo.

Alla fine la scelta per me fu più semplice del previsto, infatti davanti alla telecamera esposi le mie domande e alcune condizioni che per me erano inderogabili e loro mi chiarirono che le esigenze televisive richiedevano una disponibilità ad accettare compromessi significativi, il coach in sostanza diventava una specie di “motivatore” il cui operato nella migliore delle ipotesi si riduceva a una sintesi tra quello che fa un vero coach e le trovate spettacolari degli autori. Cogliere quell’opportunità avrebbe significato perderne molte altre più importanti.

Uno degli elementi che viene usato per misurare il successo di un professionista è la notorietà e, per quanto non sia sempre vero, possiamo dire che essere noti offre più opportunità di essere visti e quindi di lavorare –purché questa notorietà sia positiva e collegata alle tue capacità di professionista.

Per me, nel coaching notorietà significa essere conosciuti nell’ambiente del coaching – colleghi e aziende con cui collaborare – e dai clienti per cui si desidera lavorare. Aumentare le opportunità di far conoscere il proprio operato e le proprie capacità è essenzialmente un acceleratore, ma quello che molti coach a inizio carriera non considerano, o preferiscono non considerare, è che l’auto-promozione quando ancora non si è abbastanza capaci amplifica anche la visibilità delle proprie incapacità facendo diventare la notorietà un freno.

Molti dei personaggi più noti nel campo dello sviluppo personale e delle psico-tecniche secondo me sono più che altro capaci uomini o donne di spettacolo e questo è certamente un talento, saper coinvolgere in attività di sviluppo personale intere folle lo ritengo un valore. Credo però che l’accento debba essere posto sullo sviluppo personale dei partecipanti e non sulla rappresentazione egotistica del personaggio in questione.

Scopri i miei “11 consigli se sei in cerca di notorietà” in questo precedente articolo.

Un articolo di Pier Paolo Colasanti