Come coach a volte abbiamo clienti che ci servono su un piatto d’argento dei comportamenti che noi troviamo difficili da digerire. Io ne ho fatto personale esperienza quando mi sono trovata di fronte un cliente che mi irritava anche solo sentendo il suo tono di voce. Dopo le prime due sessioni ho mollato, e accompagnata da un senso di frustrazione profonda, con grande fatica, devo ammetterlo, ho cominciato a farmi delle domande. Per prima cosa mi sono chiesta: Qual è il bisogno insoddisfatto che c’è dietro quel comportamento? Cosa fa risuonare in me quel bisogno? Cosa mi sta dicendo? È anche un mio bisogno che mi sto negando? Queste domande mi hanno aiutato a capire molto sul perché gli atteggiamenti del mio coachee mi infastidivano.  Confrontandomi con le colleghe e i colleghi della Live Class, è emerso che lasciavano comunque parte della responsabilità all’altro, ne prendo atto, ma in quel momento se non fossi passata per quelle domande, che hanno facilitato la comprensione di alcuni aspetti di me stessa che non volevo affrontare, non ce l’avrei fatta. Solo così ho potuto richiamare dopo qualche tempo il cliente e fissare una nuova sessione.  

Ho, inoltre, compreso che ogni volta che le mie reazioni emotive sono così forti da portarmi a dire “quella persona proprio non la sopporto!” dovrebbe essere un campanello d’allarme che mi avvisa che mi sto nascondendo qualcosa e mi sto proteggendo da qualcosa. In psicologia vengono chiamate “proiezioni” e sono definite dei meccanismi di difesa che ci consentono di eliminare dalla nostra parte conscia, le cose che reputiamo inaccettabili. Se il meccanismo è di difesa, da cosa dovremmo proteggerci?  Le proiezioni ci consentono di trasferire sugli altri le parti di cui non siamo consapevoli e quindi nel momento in cui arriva il nostro giudizio lapidario su chi abbiamo davanti, di fatto stiamo giudicando noi stessi. Quindi ci stiamo proteggendo anche da quel famoso giudice interiore che avevamo incontrato in un’altra delle Live Class. E dalla nostra ombra, dalla nostra parte più nascosta che il solo pensare di poterla giudicare, fa venire i brividi. 

Accoglienza e non giudizio le parole ricorrenti nel nostro incontro on line e tante sono state le riflessioni sulle responsabilità che in particolare noi coach abbiamo, nel diventare consapevoli di quando stiamo giudicando qualcuno e qualcosa. Impossibile non giudicare, siamo umani e la nostra mente lo fa in automatico perché ha bisogno di dare spiegazioni, attribuire significati, di catalogare tutto ciò che non conosce o che potrebbe percepire come una minaccia. Possibile invece mettere da parte quel giudizio e più facile da fare se ci ricordiamo di quel campanello di allarme e del nostro essere coach anche nella vita e non solo in sessione.  

Ovviamente ci sono anche dei casi in cui le persone che ci irritano posseggono le caratteristiche che noi gli stiamo appioppando e che non c’entrino solo le nostre proiezioni, quindi dovrebbe essere il grado di irritazione e di ostilità a fornirci quell’elemento introspettivo. Quel comportamento lo viviamo come una minaccia a dei valori nei quali crediamo fermamente e che sentiamo di dover difendere con tutte le nostre forze. 

Dal confronto è emersa un’altra chiave di lettura interessante che è quella di imparare ad essere più accoglienti con noi stessi quando notiamo cose dell’altro che ci infastidiscono. Come a dire “se lui lo fa ed io riesco a perdonarglielo, forse dovrei anche perdonarlo a me stessa ed abbracciare quella parte di me che non sempre mi piace”. Vero, ma questo significa che siamo già consapevoli che quella parte di noi esiste e siamo consapevoli anche che spesso tendiamo a rinnegarla. 

Self Kindess è stata un’altra frase chiave della Live Class anche perché essere gentili e accoglienti con noi stessi ci insegna ad amare, e diventare persone capaci di dare il giusto valore alla cosa più preziosa che abbiamo: le relazioni con gli altri.

“Ciò che respingo lo accolgo in me pur senza accorgermene. Ciò che accetto finisce nella parte della mia anima a me nota; ciò che rifiuto va nella parte della mia anima che non conosco” (C. G. Jung)

 

-Nuna Shoesmith